Tirocinio in classi di Italiano a Stranieri

Insegnamento e tirocinio in classi di italiano con stranieri. Fare l'esperienza giusta.

Il tirocinio in classi di italiano a stranieri e l’importanza della pratica in classe

Tirocinio e insegnamento in classi di italiano a stranieriParliamo di tirocinio in classi di italiano a stranieri perché oltre ad una adeguata formazione, per diventare un buon insegnante di italiano a stranieri, è senz’altro utile fare esperienza.

L’esperienza in classe è un punto talmente importante in questo lavoro (nessun buon docente potrà mai dire di avere abbastanza esperienza!) che alcune certificazioni di competenza didattica dell’italiano a stranieri lo considerano un requisito di accesso all’esame di certificazione.
Sembra tuttavia un paradosso ed è effettivamente la domanda più frequente: “È un cane che si morde la coda: per insegnare mi chiedono la certificazione, ma per prendere la certificazione ho bisogno di esperienza di insegnamento”. Vediamo di affrontare una volta per tutte questo discorso, da diverse angolazioni, per comprenderne i motivi.

È vero, per insegnare è possibile che venga richiesto il famoso “pezzo di carta” che certifichi che io so realmente fare quello che dico di saper fare. D’altra parte un ente che cerca personale docente non è disposto ad assumere sulla fiducia, una persona che si presenta come docente di italiano a stranieri senza esperienza e senza un titolo. In questi casi è utile dimostrare di aver almeno maturato delle competenze specifiche, ancorché non ancora certificate!

Ma, a ben vedere, acquisire una certificazione che attesti la competenza didattica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri richiede uno studio teorico che da solo resterebbe claudicante, per la natura stessa della materia che si sta trattando, senza un riscontro pratico in classe. Gli enti certificatori, essendo ben consapevoli di ciò, richiedono talvolta un minimo di esperienza in classi di italiano a stranieri, foss’anche un semplice tirocinio, da certificare prima di accedere all’esame. Siamo punto e accapo: per lavorare mi chiedono di avere esperienza o, in alternativa, una certificazione che attesti che lo so fare. Per avere una certificazione, potrei sentirmi chiedere di dimostrare di aver già lavorato.

Approfondimenti e info utili!

Chi ci è già passato ha sicuramente molte storie da raccontare sui modi, non di rado fantasiosi e rocamboleschi, per conquistare un minimo di esperienza di insegnamento. Lo so, lo so, praticamente ci siamo passati tutti e questi discorsi li conosciamo benissimo. Ma allora? Come fare?

La trafila è nota ai più. Si parte sempre con un tirocinio. Ma attenzione! Il nome può trarre in inganno, non si tratta di un lavoro. Gli enti certificatori per l’accesso all’esame inseriscono in prevalenza un monte ore di insegnamento. Nato con l’idea di agevolare l’accesso alla certificazione anche a chi non insegnava, il tirocinio, in realtà, ha amplificato il problema. Vi spieghiamo perché.

Questo “tirocinio”, inteso come prerequisito di accesso all’esame, consiste, come richiesto esplicitamente, non già in una attività lavorativa, ma in una prima fase, in attività di osservazione dei processi pedagogico-didattici messi in atto nella classe dall’insegnante, nell’analisi delle dinamiche che intervengono nei gruppi di apprendenti stranieri nel corso delle attività di insegnamento/apprendimento.

Consiste altresì, in una seconda fase, attività di sperimentazione didattica che si realizza concordando con l’insegnante di riferimento (mentor) i modi e i tempi di realizzazione di alcune attività didattiche di insegnamento da sperimentare in classe. In fine può essere eventualmente prevista una terza fase, consistente nell’elaborazione di un progetto teorico/pratico fatto sulla classe in cui viene svolto il tirocinio e con cui sono state sperimentate, in precedenza, le attività didattiche da presentare alla fine dell’attività di tirocinio e da discutere con il docente/mentor.

La prima fase è quella di osservazione che in molti casi viene offerta come “tirocinio gratuito” e che, qualora si tratti di mera osservazione, non guidata e non analitica, è praticamente inutile o poco più che inutile.

La seconda fase, che inizia ad essere più interessante, perché si può iniziare a sperimentare in pratica se un’idea che abbiamo avuto funziona davvero o se abbiamo intrapreso la strada sbagliata.
Questa fase, vi sembrerà strano, si può fare anche on-line! Ma come? E l’interazione con la classe? E le attività di sperimentazione di attività di insegnamento concordate con l’insegnante? Niente di tutto questo.
Con il tirocinio on-line sarà l’insegnante a dirvi, in base alla sua esperienza, se quello che avete progettato solo in teoria, potrà funzionare anche in pratica. Mi dispiace per voi che avete scelto il tirocinio on-line perchè questa modalità praticamente non esiste.
Tuttavia possiamo dire che, qualora questa fase del tirocinio venisse messa in atto (stiamo parlando quindi del tirocinio in presenza, non di quello on-line), richiederebbe da parte del docente una attività di “mentoring”.
Questa attività, negli enti, viene svolta dai docenti anche fuori dagli orari di lavoro ed è per questo che un tirocinio un po’ più serio è un tirocinio oneroso.

La terza fase, il tirocinio davvero utile.

Ça va sans dire, la parte più utile per una persona che si avvicina per la prima volta al mondo dell’insegnamento dell’italiano a stranieri, è proprio quest’ultima fase che è prevista come “eventuale”. Un tirocinio caratterizzato da questa fase è in assoluto il più completo. Il mentor richiederà infatti la preparazione teorica di un progetto didattico e la realizzazione pratica dello stesso in classe. Potrà trattarsi di una singola attività nell’ambito della lezione, di una fase di una unità didattica o, meglio ancora, di una unità didattica completa da preparare, discutere col mentor e mettere in pratica in classe per poi, dopo la lezione, fare delle osservazioni con il mentor stesso ed, eventualmente, con gli altri tirocinanti.

Questo, infine, è quello che davvero sarebbe utile fare. È vero, un tirocinio con queste caratteristiche sarà senz’altro oneroso, ma di sicuro sarà più efficace e non sarà una inutile perdita di tempo.

Questo è quel che dovrebbe essere. Molto spesso, invece, alla richiesta di svolgere un tirocinio presso un ente ci si sente proporre in cambio un lavoro retribuito poco, male o affatto retribuito. In cambio l’ente certificherà le ore di tirocinio. In alcuni casi, ma di solito si tratta del tirocinio previsto dai diversi master, è necessario stipulare una convenzione tra l’università che eroga il master e l’ente che ospita il tirocinante.

Può capitare poi, ma non meravigliatevi, che il tirocinio sia oneroso, per coprire eventuali prestazioni previdenziali e assicurative che sarebbero a carico dell’ente e che con una convenzione verrebbero poste a carico dell’ente erogante il master o il titolo in questione. Motivo per cui si ricorre spesso ad associazioni di volontariato che accolgono, in qualità di volontari, veri e propri insegnanti e non tirocinanti.

Con la parola “tirocinio”, come abbiamo già evidenziato, ci si riferisce non già ad una attività di insegnamento, ma ad una attività volta a far acquisire al tirocinante quegli strumenti, quella pratica, quelle piccole astuzie e tutti gli aspetti legati al saper insegnare che nei corsi non vengono ovviamente trasmessi, nè potrebbero essere trasmessi.

Le tre fasi, nella pratica

Il tirocinante non sarà catapultato in cattedra ad insegnare ma sarà, prima in qualità di osservatore, accanto ad un docente del quale seguirà le lezioni e dal quale si sentirà giustificare ed esplicitare le scelte operate in fase di programmazione di una lezione e in fase di realizzazione pratica della stessa (prima fase).

Una volta compreso il modus operandi, sarà chiamato a metterlo in pratica non ancora in una attività didattica, ma con proposte di singole fasi di questa attività (seconda fase) che, a discrezione del tutor, saranno poi messe eventualmente anche alla prova in aula, sempre sotto la guida dell’esperto (terza fase).

Sarà quindi il docente a fare lezione e a svolgere l’attività didattica e il tirocinante, reso partecipe delle scelte didattiche, a seguirlo acquisendo via via più autonomia, fino alla realizzazione in proprio di un percorso didattico che, a coronamento del tirocinio, potrà anche essere sperimentato in classe. Per farla breve, ti faccio vedere come si fa praticamente, ti spiego perché si fa così, ti chiedo “tu come faresti” per ogni singolo passo e, solo alla fine, ti faccio provare a fare un piccolo percorso in classe, ma all’interno di un percorso più ampio.

Per rendere ancora più chiaro il discorso sul “toricinio” che più volte abbiamo citato tra virgolette, ci occorre una precisazione terminologica.
Nell’ambito dell’accesso agli esami di certificazione della competenza didattica dell’italiano a stranieri, qualora venga richiesto un tirocinio, si pone il rischio di ingenerare confusione perché questo termine viene, se non abusato, usato in senso atecnico.
Il pensiero corre molto facilmente ai contratti di tirocinio/stage, riformati di recente, per promuovere l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Questi contratti si basano su tipologie di inquadramento, come l’apprendistato e il tirocinio/stage, che perseguono finalità di formazione.

In senso tecnico, lo svolgimento di un tirocinio o stage avviene in base a una convenzione, stipulata tra soggetto promotore e soggetto ospitante, in cui vengono riportati obiettivi, modalità di svolgimento, durata e quant’altro necessario.
Con questo contratto il tirocinante si obbliga a svolgere le attività previste dal progetto formativo ed al rispetto degli obblighi relativi ed è, tra l’altro, assicurato contro infortuni sul lavoro.
Tuttavia il rapporto tra l’azienda e il tirocinante/stagista non è un rapporto di lavoro subordinato in quanto il suo lavoro è caratterizzato da volontarietà e da assenza di vincolo di subordinazione.
Riforme intervenute successivamente hanno poi definito specifiche linee guida per i tirocini formativi prevedendo limiti di durata dei tirocini/stage, limiti nel numero dei tirocinanti in azienda e limiti relativi al compenso.
Questo è tecnicamente quello che si intende per tirocinio, senza virgolette.

La differenza testé evidenziata si riflette, terminologicamente, non solo per quanto riguarda le mansioni (nel tirocinio in senso non tecnico si tratta di imparare a insegnare sotto la guida di un mentor, mentre nel tirocinio in senso tecnico si tratta di insegnare sotto la guida di un tutor.

Vi è quindi una conseguenza importante per evitare fraintendimenti.
Qualora abbiate necessità di svolgere il tipo di tirocinio richiesto come prerequisito per l’accesso ad un esame di certificazione, specificate sempre, al soggetto ospitante, di quale tipo di tirocinio si tratti e di quale attività si debba svolgere e cosa vorreste effettivamente fare in classe.

Fare il tirocinio in modo diverso da come abbiamo visto, significa perdere tempo, o, peggio nel caso venga richiesto un pagamento, farsi sfruttare pur di ottenere una dichiarazione che certifichi l’attività di insegnamento svolta.

Quindi vanno benissimo le associazioni di volontariato, vanno benissimo tutti gli altri enti, ma attenzione al tipo di attività che vi faranno svolgere.
Il fatto che un tirocinio sia oneroso, come ormai sarà chiaro non significa, automaticamente, che si tratti di qualcosa che non va, infatti il docente/mentor che accoglie in classe un tirocinante, in realtà sta insegnando due volte: insegna agli studenti e insegna al tirocinante, magari incontrandosi e discutendo anche fuori delle ore di lezione.
È giusto che questo lavoro vada riconosciuto.

Conclusioni

Un tirocinio in classi di italiano a stranieri, indipendentemente dall’esperienza richiesta per l’accesso ad uno o ad un altro esame, è molto utile se fatto bene e prepara più che al superamento di un esame, ad affrontare con qualche strumento in più il lavoro in classe.
Inoltre è da tenere presente  che il tirocinio o l’attività di insegnamento non sono sempre richiesti per accedere ad una certificazione di didattica dell’italiano a stranieri. Ci sono certificazioni per l’accesso alle quali non è richiesta alcuna esperienza di insegnamento o tirocinio ed alle quali è possibile accedere con una laurea o con il completamento del percorso biennale degli studi universitari.
Utile quindi un tirocinio, ed auspicabile, ma sarebbe bello farlo di propria iniziativa, liberi di poter scegliere dove e come svolgerlo, senza limiti minimi o massimi di tempo.

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